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venerdì 28 giugno 2013

LA CROCE

«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Matteo 16,24-25).

La croce non indica le inevitabili disgrazie, malattie, sofferenze, e lutti che il vivere comporta, non indica qualcosa che viene data (tantomeno da Dio) ma è un peso che , solo chi vuole, prende, solleva volontariamente, per accettare la perdita totale della propria reputazione e delle proprie aspirazioni di potere. E' il simbolo più alto dell'amore che si dona agli altri, è l'essere cristiani al di fuori della logica del mondo, è segno di amore e di vita.

La crocifissione

Era  una tortura inventata dai persiani per gli schiavi fuggitivi o per coloro che si erano macchiati di particolari  delitti, fu molto usata dai romani  al fine di terrorizzare gli schiavi, traditori e ribelli, ma la pena non era applicabile ai cittadini romani. Il diritto penale giudaico,invece prevedeva la lapidazione e lo strangolamento
Chi assistiva ad una crocifissione ne restava terrorizzato e, nel timore di fare quella fine, preferiva suicidarsi. Non era un modo di condannare a morte, ma un supplizio vero e proprio che durava diversi giorni finché la morte sopraggiungeva per asfissia. Il condannato era condotto verso il luogo destinato (a Gerusalemme era il Calvario), nudo, trasportando l’asse trasversale (patibulum), su cui sarebbero poi stati legati, tra due ali di folla che, a causa di quella morte infamante, doveva percuoterlo, deriderlo e coprirlo di insulti e sputi. Invece l’uso dei chiodi per trafiggere i polsi (non le mani) e i calcagni era molto raro. Il palo verticale (stipes) restava fissato sul luogo dell'esecuzione e i crocefissi restavano poco sollevati da terra, tanto da poter essere divorati vivi da cani, volpi, o dagli uccelli che tendevano a beccarli sugli occhi.
Alla fine, quando veniva eseguita la condanna, si formava una T oppure una croce, specie nel caso ci si dovesse appendere una tavola di legno con il motivo della condanna (titulus).  Rimanevano così anche per molti giorni, tra atroci sofferenze e divorati dalla sete. Far precedere la crocifissione dalla flagellazione era, in fondo, una forma di pietà perché il condannato, se sopravviveva alla flagellazione, moriva molto più rapidamente, com’è accaduto a Gesù. Un altro metodo per accelerare la morte era quello di spezzare le gambe dei condannati che, non potendosi più sostenere, soffocavano rapidamente.

“Chiunque fa dell'amore il senso della vita morirà crocifisso” (Ernesto Balducci)

Gesù sapeva che, se portava fino in fondo la volontà di aderire sempre al progetto d'amore di Dio, sarebbe finito ignominiosamente ucciso, ma accettò ugualmente questo rischio per mostrare a tutti la potenza dell’amore, gratuito e illimitato, di Dio, e la sua morte, liberamente scelta, diventa così l'atto redentivo gradito a Dio, perché mostra agli uomini, attraverso Gesù, un amore che non conosce limiti.
I Sommi Sacerdoti scelgono per lui la crocifissione (mentre avrebbe dovuto essere lapidato) perché la morte in croce era considerata una maledizione da parte di Dio “Se un uomo avrà commesso un delitto degno di morte e tu l’avrai messo a morte e appeso a un albero, il suo cadavere non dovrà rimanere tutta la notte sull’albero, ma lo seppellirai lo stesso giorno, perché l’appeso è una maledizione di Dio e tu non contaminerai il paese che il Signore, tuo Dio, ti dà in eredità” (Deuteronomio 21,22)., e per convincere il popolo che non poteva essere lui il Messia. Pilato dovette avvallarla per timore di essere denunciato all’imperatore: “Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare»” (Giovanni 8,12) e anzi, per sicurezza fa scrivere che era stato condannato per essersi proclamato “re di Giudei”. “Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei»” (Giovanni 19,19). E per il delitto di lesa maestà, il diritto romano prevedeva la morte.
Gesù non ha voluto sfuggire alla morte  perché se l'avesse evitata , avrebbe dovuto scendere ad un compromesso e la sua testimonianza sarebbe stata inefficiente. Non ha ceduto ed è morto torturato continuando a mostrare l'amore di Dio per tutti, anche per chi lo crocifiggeva. Quello che sembra un fallimento, un'ingiustizia,  può essere vissuto positivamente, continuando ad amare oltre ogni aspettativa ed ogni logica apparente 
Così è Dio, va contro ogni logica umana

Siamo sinceri.....

I primi cristiani usavano come simbolo il pesce ,l'ancora o il pastore, la croce faceva paura, era considerata ancora una maledizione  divina.  Solo dal IV secolo la croce comincia a sostituire vecchi simboli cristiani come segno di amore e di vita
Ma le cose cambiarono nel corso dei secoli e la croce fu imposta (Dio non impone mai,propone) come un segno del sacro sul profano,  dei governanti sui sudditi, dell’oppressore sull' oppresso, del forte sul debole, del ricco sul povero, del bianco sul nero, del padre sui figli, dell'uomo sulla donna.
La croce è comparsa sulle spade, sui vessilli in battaglia, sugli scudi dei crociati, in mano agli inquisitori, e infine come un gioiello o un portafortuna sul collo delle signore e nei covi dei mafiosi.
La croce, esportata con le armi, la violenza, l'ingiustizia, è quella dei padroni, degli schiavisti, degli sfruttatori, dei predatori, degli stupratori. .Questa visione distorta  ha portato l'odio per la croce perché divenuto simbolo dei violenti, razziatori, sfruttatori,  negatori, non certo nelle parole ma nei fatti, di Dio o almeno dell'amore di Dio.

Indipendentemente dalla nostra coerenza dell'essere cristiano,
indipendentemente dall'uso che  ne facciamo,
indipendentemente dalla nostra capacità o meno 
di mostrare il vero volto di Gesù 
la croce è, e resta  solo un simbolo  
del forte che usa la mitezza,
del re che si fa servo 
dell'uomo che si fa pane e 
dell'amore  di Dio per noi 

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Omelia di papa Francesco, giovedì 14 marzo. 


Camminare, edificare, confessare.

Camminare. "Casa di Giacobbe, venite, camminiamo nella luce del Signore". Questa è la prima cosa che Dio ha detto ad Abramo: Cammina nella mia presenza e sii irreprensibile. Camminare: la nostra vita è un cammino e quando ci fermiamo, la cosa non va. Camminare sempre, in presenza del Signore, alla luce del Signore, cercando di vivere con quella irreprensibilità che Dio chiedeva ad Abramo, nella sua promessa.

Edificare. Edificare la Chiesa. Si parla di pietre: le pietre hanno consistenza; ma pietre vive, pietre unte dallo Spirito Santo. Edificare la Chiesa, la sposa di Cristo, su quella pietra angolare che è lo stesso Signore. Ecco un altro movimento della nostra vita: edificare.

Confessare. Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG pietosa, ma non la Chiesa, sposa del Signore.

Quando non si cammina, ci si ferma. Quando non si edifica sulle pietre cosa succede? Succede quello che succede ai bambini sulla spiaggia quando fanno dei palazzi di sabbia, tutto viene giù, è senza consistenza. Quando non si confessa Gesù Cristo, mi sovviene la frase di Léon Bloy: “Chi non prega il Signore, prega il diavolo”. Quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del diavolo, la mondanità del demonio.

Camminare, edificare-costruire, confessare. Ma la cosa non è così facile, perché nel camminare, nel costruire, nel confessare, a volte ci sono scosse, ci sono movimenti che non sono proprio movimenti del cammino: sono movimenti che ci tirano indietro.

Lo stesso Pietro che ha confessato Gesù Cristo, gli dice: Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo. Io ti seguo, ma non parliamo di croce. Questo non c’entra. Ti seguo con altre possibilità, senza la croce. 

Quando camminiamo senza la croce, quando edifichiamo senza la croce e quando confessiamo un Cristo senza croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore.

Io vorrei che tutti, dopo questi giorni di grazia, abbiamo il coraggio, proprio il coraggio, di camminare in presenza del Signore, con la croce del Signore; di edificare la Chiesa sul sangue del Signore, che è versato sulla croce; e di confessare l’unica gloria: Cristo crocifisso. E così la Chiesa andrà avanti.

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