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sabato 12 ottobre 2013

MALALA, UNA BAMBINA CHE STA CAMBIANDO IL MONDO

                           malala


Dalla pagina facebook di “Docenti senza frontiere”:

IO SONO MALALA

«SEDERMI A SCUOLA A LEGGERE LIBRI È UN MIO DIRITTO. VEDERE OGNI ESSERE UMANO SORRIDERE DI FELICITÀ È IL MIO DESIDERIO. IO SONO MALALA. IL MIO MONDO È CAMBIATO,MA IO NO.»

9 ottobre 2012. Il sole brilla forte sulla valle di Swat. Dal vecchio scuolabus senza tetto che la riporta a casa, Malala sorride e segue il volo degli aquiloni colorati nell’enorme cielo azzurro. Anche oggi ce l’ha fatta: ha attraversato il fiume e ha raggiunto la scuola. È riuscita a studiare, a leggere, a imparare.”
Così comincia il libro Io sono Malala. Dal giorno in cui sull’autobus della quindicenne pakistana Malala Yousafzai sale un uomo con una pistola. Cerca proprio lei, che è l’unica sullo scuolabus ad avere il volto scoperto. Tutti lo fissano attoniti ma lui grida il suo nome, e pian piano i visi cominciano a girarsi per indicargliela in silenzio. “Io sono Malala” sono le parole che fa in tempo a pronunciare prima che l’uomo alzi il braccio e quattro proiettili la colpiscano.
Ma quella mattina Malala non muore.


Qualcuno si chiederà: “Hanno forse sbagliato persona? Come si può prendere di mira una ragazzina? Perché tanto accanimento?”. Ma non è così, era proprio lei che cercavano.
Torniamo indietro di qualche anno. Al momento in cui i talebani mettono a punto una campagna per sovvertire le istituzioni governative e minacciano le scuole femminili che vanno contro i precetti islamici. Siamo nel 2008, la scuola di Malala è sempre sotto assedio. Qualche mese dopo, a undici anni, Malala tiene un discorso di protesta davanti alla stampa nazionale per denunciare quegli attacchi. Alla sua prima apparizione pubblica, i media si accorgono già di lei. Infatti la BBC dal febbraio dell’anno seguente le chiede di tenere un blog, intitolato Diary of a Pakistani Schoolgirl. Un diario di storie e aneddoti di una ragazzina normale, in un luogo dove la normalità è bandita. Anche vedere un film, ascoltare musica o andare al mercato può essere un pericolo. Lei, figlia di un insegnante, con il sogno di fare il medico o fondare un partito politico tutto suo non vuole starsene zitta e scrive “La sola cosa che voglio è il diritto all’educazione. E non ho paura di nessuno” – firmandosi Gul Makai, che in lingua urdu significa “fiordaliso”.
Qualche tempo dopo il suo nome trapela e, man mano che acquista notorietà nel suo paese, Malala risulta sempre più ingombrante per i talebani.
E così arriviamo al giorno dell’attentato, dal quale fortunatamente si salva, anche se è costretta a trasferirsi con la famiglia in un ospedale di Birmingham per essere curata adeguatamente e per essere meno esposta. Nonostante il grosso rischio corso, l’impegno di Malala e la sua forza sono tutt’altro che esaurite.
Un mese dopo, il 10 novembre 2012, viene istituito il Malala Day per rendere omaggio alla “ragazza più coraggiosa del mondo”, come titola il settimanale Newsweek mettendola in copertina. Il Time gliene dedica addirittura due. Si parla di Premio Nobel per la Pace, per il quale è la più giovane candidata di sempre.

Il 12 luglio 2013 Malala festeggia il suo sedicesimo compleanno in un modo insolito: tenendo un discorso davanti ai rappresentanti dell’Onu, con addosso lo scialle rosa di Benazir Bhutto (la politica pakistana uccisa in un attentato). Per dare voce a chi non ha voce.
È vero, i dati Unicef ci dicono che l’umanità non ha mai visto andare a scuola un numero di bambini così alto quanto oggi, nel corso della sua storia. Ma Malala ci ricorda che quel diritto fondamentale all’istruzione di base, che a noi spesso appare così scontato, è negato a oltre 120 milioni di bambini. E la metà di loro sono femmine.
Con in mano la petizione di quattro milioni di firme che ha raccolto per sensibilizzare i governi di tutto il mondo ad agire, Malala ha lanciato un messaggio forte: “Intraprendiamo una lotta mondiale contro l’analfabetismo, la povertà e il terrorismo, e prendiamo i nostri libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più forti. Un bambino, un insegnante, una penna e un libro possono cambiare il mondo”.

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